27 maggio 2002

Rovereto. Allo "Zandonai" musica colta e sonorità delle valli dolomitiche
Montagne, messa di emozioni
Ovazione finale per Veneri e le sue contaminazioni corali

ROVERETO. Una prima mondiale con lucciconi agli occhi, tramutatasi alla fine in una vera e propria ovazione: per il compositore Giovanni Veneri, autore di una Messa indimenticabile, per l'Orchestra Accademica Filarmonica di Bologna, che ne ha saputo esprimere intensità e finezza portando il pubblico a respirare su vette altissime, e per i due cori, "S. Ilario" e "Valle dei Laghi", che ne hanno esaltato forza e purezza. Quella di sabato allo Zandonai, è stata una serata emozionante e piuttosto inedita, connubio tra "musica colta" e sonorità delle nostre valli che ha messo in rilievo la duttilità dell'una e la maturità dell'altra; in mezzo lui, il compositore di Parma che alla musica sacra ha sempre riservato un posto privilegiato (Veneri ha composto Messe, Requiem, Via Crucis... ma anche pezzi operistici e di musica da camera; recentemente, su richiesta della London Symphony Orchestra, ha orchestrato le musiche di Bottesini per contrabbasso e piano registrate con la stessa orchestra londinese) e che con questa "Messa delle Montagne", dedicata alle Dolomiti, ha voluto affrontare una sfida non indifferente. Lo ha fatto compattando tra loro due realtà piuttosto rappresentative del patrimonio corale della nostra terra, entrambe contraddistinte dalla stessa voglia di ricercare stili e forme nuove, ma che, pure, sono molto dissimili tra loro.E Veneri ha vinto anche questa scommessa: dall'impasto di colori più intimi e raffinati del "Coro S. Ilario", con quelli più scanzonati e allegri del "Coro Valle dei Laghi" è uscita una magnifica liturgia, che sembrava parlare la lingua di un nuovo umanesimo. Breve ma bellissima, questa composizione del maestro parmigiano, retta da impasti levigati, ma molto movimentata , ha saputo abbracciare tutti i toni dell'animo umano, facendo dell' Hecce Homo, della solitudine davanti al dolore, un trampolino verso la felice sicurezza che il sogno di un "mondo nuovo"è in grado di regalare. Una Messa dal profondo contenuto simbolico (e quale altro simbolo, più della montagna, è parafrasi del faticoso cammino verso l'alto?) che è stata il trionfo della speranza e che aveva davvero qualcosa dell' ariosa maestosità di Dvorak. Piena di energia e di ottimismo, ma anche di soffusa tenerezza e commozione. Una Messa che non ha mai relegato la parte corale a corollario.Ma a quell'"Agnello di Dio, dona a noi la pace", ci si è avvicinati per gradi. La serata ha infatti preso l'avvio dall'esecuzione di tre canti (tra cui le bellissime "Ninna Nanna" di Renato Dionisi e "Fiori de Cristal" di Dalpiaz Gianotti) del Coro S. Ilario, diretto dal suo maestro storico Antonio Pileggi, tre del Coro Valle dei Laghi (tra cui l'applauditissima "Maggio" di Maiero), diretto da Paolo Chiusole, e il duplice omaggio riservato da Veneri al compositore di casa, quel Riccardo Zandonai tanto "nemo" (almeno a giudicare dalle esecuzioni effettuate) in patria, quanto profeta fuori.
Autore difficile alla cui musica "dissonante" L'Orchestra dell'Accademia Filarmonica di Bologna ha dato voce eseguendo "Spleen" (composizione che Zandonai scrisse nel 1934 per violoncello e piccola orchestra) e "Anima non andare", brano scritto dallo stesso Veneri.
Una Messa che è stata anche un congedo, come ha rilevato Bruno Vaccari, presentatore di serata: Teatro Zandonai chiude i battenti (per restauro a tempo indeterminato...). Speriamo che il congedo possa farsi viatico.

Anna Maria Eccli